Lo conosciamo tutti. Lo amiamo tutti.
Totò la maschera irriverente, Totò il Genio della risata, paragonato a Buster Keaton e Charlie Chaplin, Totò dalla faccia sghemba e dalla battuta irresistibile. Sulla sua straordinaria carriera tutti hanno già scritto tutto e quindi non ne parlerò.
In questo mio #Coriandolo vi racconterò altro perché forse non tutti sanno che…
Totò alla nascita (a Napoli Rione Sanità il 15 Febbraio 1898) viene registrato con i nomi di Antonio Vincenzo Stefano. Di cognome fa Clemente perché nato da una relazione clandestina fra sua madre Anna Clemente e suo padre, il Marchese Giuseppe de Curtis.
Quest’ultimo lo riconoscerà solo agli inizi degli anni Venti, sposando la madre Anna.
Totò sarà sempre legatissimo alla mamma che pure all’inizio ne ostacolò la carriera artistica, perché le sembrava indecorosa, tentando, inutilmente, di farlo diventare prete.
Nel 1933 l’ormai adulto Antonio de Curtis viene adottato dal Marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri, Cavaliere del Sacro Romano Impero.
Ci teneva ai titoli nobiliari, Totò, eccome!
Con due sentenze del 1945 e del 1946 che gli riconobbero vari titoli gentilizi, fu iscritto nel libro d’oro della nobiltà italiana e a partire dal 1950 il suo cognome venne rettificato in Griffo Focas Flavio Dicas Comneno Porgirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio.
I suoi titoli nobiliari? Eccoli. Una serqua: Altezza imperiale, Conte palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Pinte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Totò fu anche membro della loggia massonica “Fulgor” di Napoli nel 1945 e a Roma ne fondò una lui stesso, la “Fulgor Artis” che appartenevano entrambe alla “Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana” di Piazza del Gesù.
Fu un filantropo; centinaia, nella sua esistenza, i gesti di beneficenza e di solidarietà nei confronti di orfanotrofi, persone indigenti, canili, colleghi in difficoltà.
Non è leggenda che, ormai ricco e celebrato, si recasse di notte nel suo amato Rione Sanità e infilasse sotto le porte delle case più povere, banconote da diecimila lire.
Uno straziante dolore fu per lui la morte, avvenuta a poche ore dalla nascita, del figlio Massenzio avuto dalla sua compagna Franca Faldini, dolore a cui cercò di reagire con un super lavoro che minò la sua salute.
Nonostante le raccomandazioni dei medici e dei familiari, continuerà imperterrito a fumare 4 pacchetti di sigarette al giorno.
Ormai quasi cieco, morì a 69 anni il 15 Aprile 1967, compianto e rimpianto da tutti.