Rubrica Coriandoli. Shelley, Frankenstein e la superstizione dei marinai

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L’irrequieto, sublime Percy Bysshe Shelley, colui che “s’impolverava con la luce delle stelle”, per dirla con le sue parole, e che più di ogni altro Poeta Inglese seppe cantare la romantica inquietudine, la solitudine e lo sgomento, nacque nel 1792 nella regione del Sussex ed ebbe una (breve) Vita, scandita da passioni e dolori.

Era sposato con Harriet (con la quale avrebbe voluto sperimentare un anticonformista matrimonio “aperto”, sdegnosamente rifiutato dalla ragazza), quando incontrò una giovanissima Mary Wallstonecraft Godwin (figlia del filosofo William) e se ne innamorò, ricambiato con passione.
La relazione intensa e spregiudicata con la colta Mary non placano il suo animo tormentato e gli attacchi di depressione e di allucinazioni che lui tenta di sedare con il potente laudano, un oppiaceo di cui in breve diventa schiavo.
Ma anche Mary era di salute cagionevole e psicologicamente assai fragile e i fantasmi sempre in agguato della depressione si materializzarono quando perse la bimba che aspettava.

Con Keats e Byron, Shelley forma la triade sublime del Romanticismo Inglese e di Byron divenne amico e sodale.
E proprio nella Maison Chapuis, situata vicino alla casa che Byron possedeva a Ginevra, i due amanti clandestini e fuggiaschi, si ritrovarono a vivere, assieme al loro piccolo bimbo nel frattempo nato, durante l’estate del 1816, un’estate piovosa e fredda.
Le sere Percy e Mary presero l’abitudine di riunirsi dall’amico Byron insieme ad altri ospiti, tra cui John Polidori, medico personale del padrone di casa e un medico italiano, Andrea Vaccà Berlinghieri che studiava i cadaveri e faceva esperimenti con l’elettricità. Una sera, davanti al caminetto acceso, dopo aver dilettato gli ospiti con racconti di fantasmi, Byron propose a ciascuno di scrivere un racconto pauroso ed inquietante. Gli astanti accettarono la sfida con entusiasmo.
Ne sortirono due capolavori: “Il vampiro”di Polidori (che ispirerà il “Dracula” dello scrittore irlandese Bram Stoker) e “Frankenstein o il moderno Prometeo” di Mary Godwin Shelley.

La tragedia era però in agguato nella tumultuosa esistenza di Percy e Mary: in quel fatidico 1816 dapprima piombò su di loro il suicidio della sorella di lei, Fanny, trovata morta nella propria stanza con una boccetta di laudano e una lettera d’addio, e poi quello di Harriet, moglie legittima di Shelley, ritrovata morta il 10 dicembre nelle gelide acque del laghetto di Hide Park di Londra.
E anche due dei tre figli che la coppia intanto aveva messo al mondo morirono in tenerissima età, gettando i giovanissimi genitori nello sconforto più desolante.

I bimbi erano periti per malattia in Italia dove la coppia, nel giro di quattro anni, aveva soggiornato fra le città di Venezia, Livorno, Lucca, Roma, Napoli, Firenze e Pisa, anni intensi e creativi dal punto di vista artistico ed intellettuale, ma anche segnati da inquietudini e tormenti esistenziali per entrambi.
Approdarono poi a Villa Magni a San Terenzio, nella Baia di Lerici, in Liguria, che sarà ribattezzata “Golfo dei Poeti” e decidono di risiedere lì, attirati dal clima e da quel mare che Shelley tanto amava.
Un giorno dell’Estate 1822 decise di salpare da Lerici insieme ad un amico e ad un marinaio alla volta di Livorno per una riunione di lavoro.
Lo aspettava il suo grande amico Byron con cui avrebbe voluto creare una rivista letteraria.

La goletta al varo era stata battezzata “Don Juan”,come il capolavoro di quest’ultimo, ma Shelley ne aveva voluto cambiare il nome in “Ariel” come il personaggio della Tempesta di Shakespeare (e come si auto appellerà anche d’Annunzio, grande estimatore di Shelley).
Qualcuno lo ammonì dal cambiare nome alla barca, perché nell’ambiente marinaio si dice porti male…
Percy sorrise e approdò tranquillamente a Livorno, da cui ripartì l’8 alla volta di Lerici. Non sarebbe mai arrivato.

Dopo giorni il suo corpo straziato, insieme a quello degli altri due compagni di viaggio, furono ritrovati nelle acque di Viareggio.
Percy fu riconosciuto perché nella tasca del pantalone fu rinvenuto ciò che rimaneva di un volumetto di poesie del suo amato Keats.
Come prevedeva la legge, il suo corpo fu cremato su quella stessa spiaggia e una disperata Mary asperse sul rogo oli profumati ed essenze aromatiche scelte da Byron in persona.
Il cuore di Shelley, quel suo cuore gonfio di Poesia e di inquietudine, venne consegnato alla sua compagna che lo conservò in un cofanetto fino alla morte.

Le ceneri di Percy Bysshe Shelley, morto a non ancora 30 anni, furono tumulate nel Cimitero degli Inglesi a Roma, vicino alla tomba dell’immenso Keats e l’epigrafe riporta tre versi della Tempesta di Shakespeare: “Nothing of him that doth fade/but doth soffre a sea change/into something rich and strange”.
“Niente di lui si dissolve/ma subisce una metamorfosi marina/per divenire qualcosa di ricco e di strano”.