Quel giorno l’Anfiteatro di Statilio Tauro era gremito fino agli ultimi posti: tutta Roma era accorsa per godersi i cruenti combattimenti fra gladiatori.
L’Imperatore Claudio e la sua fascinosa consorte Valeria Messalina erano seduti sul “pulvinar”, il palco imperiale, attorniati da pochissimi eletti.
Ad un segnale dell’Editor (l’organizzatore) trenta tube si allinearono dritte contro il cielo e produssero squilli lucenti e imperiosi.
Dalle viscere dell’arena, attraverso botole nascoste, emersero all’improvviso cinquanta gladiatores, bardati e rilucenti come eroi omerici. Il fragore della folla si fece assordante.
Le armi alzate scintillanti al sole, si portarono sotto il pulvinar e si inginocchiarono in segno di omaggio.
Indossavano tutti soltanto un perizoma trattenuto da un’alta cintura di cuoio abbellita da borchie di bronzo; qualcuno ostentava piastroni sul petto, alcuni indossavano la corazza, tutti gli altri erano a torso nudo, cosparsi di olii grazie ai sapienti massaggi degli unctores.
E fu allora che Messalina lo vide. Lui era un Hoplomachus, uno dei gladiatori che combatteva con lancia e gladio; bello come una statua greca, il corpo scolpito, le possenti cosce riparate da alti gambali.
«Il Divino Fidia ti ha scolpito, Hoplomacus», pensò Messalina.
«Voglio sapere il suo nome», ordinò ad un’ancella. Va e torna presto,» le disse senza mai staccare gli occhi da lui.
Combatteva contro un rivale biondo, gigantesco e assetato di sangue e ben presto il duello divenne una danza di morte incalzante, serrata, cruenta. E lui, l’Hoplomacus, ne fu il vincitore.
L’ancella tornò di corsa: «Demetrio è il suo nome, o Divina,» le sussurrò all’orecchio.
Messalina sorrise lentamente.
<<Lo voglio a Palazzo>>, ordinò.
Da vicino Demetrio era ancora più imponente. L’avevano ripulito e rivestito con una tunica corta; lei non poté fare a meno di notare quanto fossero possenti le gambe e poderose le braccia.
«Sei stato bravo, gladiatore.»
«Solo fortunato.»
«La Fortuna non basta quando si combatte contro una belva assetata di sangue com’era quel Myrmillo.»
«Era solo un disperato.»
«Lo compiangi? Nessun odio nei suoi confronti?»
«E chi sono io per odiarlo? Entrambi eravamo costretti a sbranarci per far divertire gli spettatori. Sono loro le vere belve assetate di sangue.»
«Hai ardimento, gladiatore, a parlarmi così. C’ero anch’io tra quegli spettatori.»
«Lo so, ma non è il sangue che cerchi, Domina.»
«E che altro, gladiatore?»
«Un rimedio alla tua noia di vivere.»
«Hai coraggio da vendere a rispondermi così. Sei consapevole che io posso disporre della tua vita come voglio, a mio capriccio?»
«Io vivo sempre sull’orlo di un precipizio e la mia vita non vale granché. Alla mia morte mi attende un’altra nascita e la Vita Eterna.»
«Parli come i seguaci di quel giudeo., quel Iesous di Nazareth che, dicono, sia nato in una capanna da una vergine ingravidata da uno spirito. Sarai mica un christiano, gladiatore?»
«Sì, sono un christiano.»
«Non siete ben visti voi altri. Rinnegate i nostri Dèi, dite di amare il prossimo vostro come voi stessi, predicate una vita morigerata. Siete gente bizzarra e per niente innocua.»
«Il marcio non è fra noi, Domina, ma altrove.»
«Mi piaci, gladiatore, sei coraggioso e vigoroso. Questa notte mi farai compagnia. Puoi andare, ora,» lo liquidò, con un cenno sbrigativo della mano.
«Io non verrò, Domina.»
«Come hai detto?» la voce dell’Imperatrice sibilò acre.
«Non desiderare la donna d’altri, non fornicare: sono comandamenti del mio Dio. Non verrò da te stanotte. Preferisco essere carne da macello nell’arena che nel tuo letto.»
«Così sia, gladiatore. Così sarà,» scandì lei lentamente.
Qualche giorno dopo il gladiatore fu trovato morto: veleno fu la diagnosi. Messalina aveva perpetrato la sua vendetta.
Indifferente come una Dea.
Inesorabile come la Morte.