Bella era bella davvero, Marie: un corpo modellato da una mano esperta, una pelle serica e alabastrina, «grandi occhi notturni».
«Suora Notte», l’aveva ribattezzata d’Annunzio, che fu uno dei suoi tanti amanti, per quell’aura misteriosa e virginale, sensuale e indolente che riverberava.
A lei scrisse missive e messaggi in francese, su carta da lettera color avorio o celestina, con su stampato, in rosso, il suo celebre motto Per non dormire: «Ah Suora Notte, Suora Notte, perché d’improvviso io brucio di quel bacio intenso che aveva paura di aprirsi? Vi chiedo di lasciarVi rivedere nel giorno stesso del Vostro ritorno. Portatemi l’odore della Vostra landa nella piega delle Vostre braccia».
Ma chi era l’enigmatica Marie, cui l’Imaginifico si rivolgeva firmandosi «Frate Foco»?
Era figlia del poeta cubano Josè Maria de Hérédia, accademico di Francia, gran giocatore e dilapidatore di fortune e aveva deciso di sposare il letterato francese Henry de Régnier per riconoscenza (lui, pur di averla, aveva pagato tutti i debiti di gioco del suocero), ma non l’amò mai.
Anzi, gli impose un matrimonio “bianco” e un amante illustre, il poeta Pierre Louÿs, che, grande scandalo, era suo cognato, avendo lui sposato (senza amarla) la sorella minore di Marie, proprio per poter vivere in famiglia e lontano da occhi indiscreti quella passione totalizzante e clandestina.
Una passione, la loro, innervata da un erotismo spudorato e senza freni che generò, oltre a lettere ribalde, un figlio, chiamato Pierre anch’egli, e ribattezzato “Tigre” per il suo temperamento ferino.
Aveva una particolare predilezione per i poeti, Marie, e quando nel 1913 conobbe a Parigi l’Imaginifico (che nella sfavillante Ville Lumière stava trascorrendo il suo esilio dorato lontano dai creditori), la passione, tra loro, divampò senza scampo.
Gabriele era ammagato da quella donna fascinosa, colta e segreta, dallo «sguardo obliquo» e dalle «dita di fata». «Veggo le grinfie della Vostra mano che mi toccava in modo così musicale, più dolce del vento della sera, là sul ponte pieno di gente», le scrive Frate Foco, più infiammato che mai.
Le sue carezze sapienti, la sua «bocca da driade» gli procuravano una voluttà languorosa e attossicante.
Ogni giorno le mandava un messo con un piccolo dono: un libro, o delle pastiglie alla menta, o, più frequentemente, una scatola di fiori essiccati, che lei accoglieva con fanciullesco entusiasmo: «essa è incantevole, profuma e starà tanto bene nella mia stanzetta di Parigi, che è tutta nera e color malva», scriveva a sua volta.
E lei ricambia inviandogli le sue deliziose poesie, perché Marie è una valente scrittrice, nota con lo pseudonimo maschile di Gérard d’Houville, e così firma anche i suoi romanzi, “L’Inconstante”, del 1903, che le diede una gran fama, e poi “L’Esclave”, “Le temps d’aimer” e poi via via fino a “Le Séducteur” (Il Seduttore), dall’eloquente e malizioso titolo, scritto proprio durante la relazione con d’Annunzio.
Per sue pregevoli opere le sarà conferito nel 1918, prima scrittrice a riceverlo, il prestigioso Gran Prix du Roman dall’Académie française.
Allo scoppio della Grande Guerra il Vate lascerà Parigi e tornerà in Italia, diventando l’Eroe che tutti conosciamo; ma non dimenticherà mai Marie, «farfalla viola, vellutata di pallido oro» che nel frattempo continuerà a comporre opere di successo.
Si scriveranno ancora, ma le lettere saranno pervase, nel corso degli anni, da soave tenerezza e affettuosa amicizia; il tempo aveva scolorato le tinte accese di quella passione, perché il tempo, come diceva Shakespeare, è un «vorace cormorano» che tutto divora.
Anche le emozioni, anche i ricordi.
Marie morirà a 88 anni, nel 1963.
Nella foto: Marie, fotografata allo specchio dal suo cognato-amante Pierre Louÿs