Cocotte, principessa e santa: così potrebbe essere riassunta la straordinaria esistenza di Liane de Pougy, colei che il Poeta Edmond de Goncourt definì “la donna più bella del secolo” (facendo infuriare Lina Cavalieri e La Bella Otero, sue rivali in quella scintillante e profumata Belle Époque parigina).
Nacque in Bretagna nel 1869 da una famiglia di agiate condizioni e il suo vero nome era Anne-Marie Chassaigne. Dopo aver frequentato un rigido collegio gesuita, a 16 anni fu data in sposa a Henri Pourpre, un ufficiale di vascello violento e geloso (non che lei non gliene desse motivo) che la picchiava brutalmente e le cui cicatrici nel corpo e nell’anima lei esibirà per tutta la Vita.
A 18 anni divorziò e fuggì a Parigi dove intraprese la carriera di soubrette nei più sfavillanti Cafés-chantants e di “cocotte” o, come si diceva allora, di “grande horizontale” nelle alcove di aristocratici e miliardari, discendente anche lei, come le altre, da quella ineffabile “signora delle camelie” di Dumas, poi trasposta nella “Traviata” verdiana.
Di impudente bellezza e di sfrontata impudicizia, Anne-Marie, che nel frattempo aveva cambiato il nome nel musicalissimo Liane de Pougy, condusse nella Ville Lumière una vita lussuosa e lussuriosa, sempre sopra il pentagramma della moralità, facendo impazzire uomini e donne.
Già, le donne. Nella Parigi di fine secolo (parliamo dell’Ottocento, ovviamente) vi era una colonia di artiste “lesbo-chic” che aveva adottato volutamente una condotta scabrosa e provocatoria, scambiandosi effusioni in pubblico e ballando avvinghiate, nei locali, torbidi tanghi al solo scopo di “épater les bourgeois”, scandalizzare i benpensanti.
Liane era fra queste, e anzi, in un suo romanzo di successo, dal titolo inequivocabile de “L’idylle sapphique”, rivelerà senza pudori la sua torbida relazione con la poetessa americana Natalie Clifford Barney.
Ma non disdegnava gli uomini, Liane, tutt’altro! Con Gabriele d’Annunzio intrecciò una relazione al calor bianco nei primissimi anni del Novecento, quando lui viveva alla Capponcina di Settignano (vicino Firenze) insieme alla Duse; quando la Divina Eleonora rinvenne sul divano alcune forcine bionde appartenenti alla maliarda de Pougy, si abbandonò ad una plateale scenata che lasciò lei esausta e disperata e lui olimpicamente indifferente.
E furono tutti uomini quelli che lei portò alla rovina, sconvolgendoli con quella sua inesausta perizia erotica, cui non erano estranee anche inconfessabili perversioni, che costavano assai care agli occasionali, ricchissimi amanti: nel 1894 l’Accademico di Francia Henry Meilhac pagò 80.000 franchi solo per poterla guardare nuda e a San Pietroburgo il Principe Miatlef le fece dono di gioielli dal valore inestimabile solo per una notte. Una lunga, infuocata notte.
Persino Marcel Proust, a cui lei aveva cercato invano di sottrarre l’amante, il fascinosissimo Reynaldo Hahn, ne rimase in qualche modo irretito, seppure solo artisticamente parlando, tanto da trasporla nella sua monumentale Recherche proprio nei panni della irresistibile Odette de Crecy, ritratta mentre “un’intera scia di uomini la circondava”.
Ma al culmine della carriera artistica e della peccaminosa Vita mondana, Liane incontra il Principe rumeno Georges Ghika: è la svolta.
Per amor suo lascia il torbido mondo dei tabarins e delle alcove e lo sposa, rinunciando ai lussi cui era abituata, giacché il giovane era stato diseredato dalla famiglia contraria a quel matrimonio.
Lei lo ama appassionatamente per sedici anni, fino a quando lui la lascia per una donna più giovane che, ironia della sorte, era stata una sua precedente, saffica amante.
Dopo la morte, durante la Grande Guerra, del suo unico figlio, il pilota Marc Pourpre, Liane cambiò profondamente.
Una visita ad un orfanotrofio di Grenoble la turbò a tal punto che da quel momento cominciò ad instillarsi in lei una forte vocazione religiosa che la condurrà in un cammino spirituale lungo ed intenso.
Rinnegando completamente il suo dissoluto passato, entrerà nel Terzo Ordine di San Domenico e trascorrerà il resto della sua Vita pregando e dedicandosi ad opere pie.
Colei che aveva turbato i sonni di molti (e di molte) e che aveva adottato in gioventù il motto “Non ho paura né del peccato né della morte”, finirà sola e dimenticata in un Convento di Losanna.
Morì nel 1950 a 82 anni, con sul volto ancora i segni della passata bellezza.
Morì nella notte di Natale, come aveva sempre desiderato.