Continuiamo anche questa settimana con questo excursus sulle grandi Dive del Cinema Muto, un tempo Divine idolatrate e inaccessibili, oggi quasi del tutto dimenticate.
Eppure allora, prima dell’avvento del sonoro (nel 1928) avevano fatto sognare generazioni intere, interpretando figure di donne fatali e perverse, superbe e inarrivabili o passionali e struggenti.
Sabato scorso Vi ho parlato di Theda Bara, Greta Garbo e Francesca Bertini. Oggi Vi racconterò la storia di altre attrici un tempo famosissime e amatissime.
Lyda Borrelli, nata vicino Genova nel 1884, era figlia d’arte e debuttò giovanissima a Teatro nel ruolo di “Favetta” ne “La figlia di Iorio”, tragedia di Gabriele d’Annunzio e recitando poi accanto a Eleonora Duse.
Come attrice cinematografica divenne famosissima come protagonista del cosiddetto primo “diva film” del cinema italiano: “Ma l’amor mio non muore!”che riscosse un grandissimo successo. Lyda Borelli diventò subito una diva amata e nacquero addirittura neologismi come “borellismo”e “borelleggiare” per descrivere il fenomeno di imitazione di pose e atteggiamenti che aveva scatenato nel pubblico femminile.
Per lei si scomodò un intellettuale di nicchia come Antonio Gramsci che scrisse di lei: “La Borelli è l’artista per eccellenza della film in cui la lingua è il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantesi”.
Eppure la sua carriera durò solo 5 anni, in cui interpretò 13 film, tutti di successo, fino al più famoso, quel “Rapsodia satanica” infarcito di suggestioni simboliste, decadenti e lugubri.
Corteggiata da molti, ebbe un solo matrimonio, quello con il conte Vittorio Cini da cui ebbe tre figlie: Ilda, Jana e Minna. Morì nel 1959 a 71 anni, circondata dall’affetto dei suoi cari e riposa nel cimitero monumentale della Certosa di Ferrara.
Mary Pickford fu forse la più famosa star del Cinema muto americano: nata nel 1892, canadese, piccolina, tenace e ambiziosa, iniziò con ruoli da bambina (era soprannominata “riccioli d’oro”) per poi interpretare ben 52 ruoli nel corso di una carriera scintillante che le fece vincere anche un oscar nel 1929 con il film “Coquette”.
Non le furono però risparmiati grandi dolori: la morte prematura della madre (alcolizzata), un primo marito violento e anche lui alcolizzato, un aborto da lei stessa procuratosi che le impedirà in seguito di avere figli, una profonda depressione che la intossicherà quando si ritirerà dal Cinema.
Nella Mecca di Hollywood, oltre ad essere diva profumatamente pagata, divenne potente perché insieme al suo secondo marito, il bellissimo attore Douglas Fairbanks Senior, Charlie Chaplin e il grande regista David W. Griffith, fondò una delle case di produzione più importanti d’America: la United Artists.
Ricchissima e influente andò a vivere con l’adorato marito sulle colline di Beverly Hills, in un lussuosissimo cottage che fu battezzato “Pickfair” dalle iniziali del cognome di entrambi, e che divenne un luogo di incontro di attori famosissimi e personaggi quali Einstein, George Bernard Shaw, Francis Scott Fitzgerald e Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes.
La fine del Cinema muto e del suo amore con Fairbanks le causarono una grande depressione che neppure un terzo matrimonio e l’adozione di due bambini riuscirono a curare.
Divenne sempre più chiusa e scontrosa, rintanandosi nella sua villa, rifiutando qualsiasi contatto umano (i visitatori potevano parlare con lei solo tramite telefono) e annegando i propri fantasmi nell’alcool come avevano fatto sua madre e sua sorella. Morì il 29 maggio 1979 per i postumi di un’emorragia celebrale.
E per finire, un Diva “dannunziana”: Elena Sangro che si chiamava in realtà Maria Antonietta Bartoli Avveduti ed era una splendida fanciulla nata nel 1897 nella Città del Vasto, nell’Abruzzo chietino. Bella e carnale, divenne famosa come interprete di Proserpina, moglie del Dio degli Inferi Plutone in una trilogia che dal 1924 al 1926 spopolò: “Maciste Imperatore”, “Maciste nella gabbia dei leoni” e “Maciste all’inferno”.
Con l’avvento del cinema sonoro (1928) si ritirò dallo schermo, ma continuò la carriera artistica come soprano e con il nome di Lilia Flores si esibì in molti concerti; nel secondo dopoguerra si riciclò come produttrice di documentari, in uno dei quali dedicato a Franz Liszt e intitolato come uno dei suoi celebri brani, “Sogno d’Amore”, apparve per la prima volta Gina Lollobrigida.
Ma prima di lasciare il Cinema, nel 1925 conquistò tutti nella parte della conturbante Poppea nell famoso Quo Vadis? per la regia di Georg Jacoby e Gabriellino D’Annunzio. Eh già, d’Annunzio!
Gabriellino era il terzo (e più debosciato) figlio del grande Poeta abruzzese e suo padre l’aveva convinto a scritturare Elena Sangro (di cui l’Imaginifico aveva cambiato il cognome in Zancle) che da qualche anno era diventa la sua amante.
Fra il sessantaquattrenne Poeta e la trentenne attrice nel 1919 era esplosa una turgida passione che culminò con la stesura, da parte di d’Annunzio, del poemetto erotico “Carmen Votivum”, poi inserito nel “Libro segreto”, che celebrava «il Triangolo e il Circolo in geometria erotica», e dove lei figura, appunto, con il nome di Elena Zancle.
«Piacente sopra te, quanto mi piaci!», scriveva il Vate e ancora: «Così fluisci e induri, se ti stringe/ignuda il mio vigor sempre novello».
La sua golosità erotica era più avida che mai, ed Antonietta-Elena fu docile cera fra le sue mani, sensuale e languida com’era.
«Elena, il tuo madore è una rugiada stillante sopra uno stillante miele», scriveva, ricordando un neghittoso pomeriggio d’amore in cui «il non bevuto nettare si spande» ed «il vasto letto inonda».
Anche lei, falena stordita da quell’amore affocato, fu presto inumata nel cimitero dei grandi amori trascorsi. Lei, dopo la rottura, si recò ancora al Vittoriale, ma lui non volle neppure vederla. «Ricorderò, mio Ariel, questa orribile notte di Gardone», gli scrisse, amareggiata. «Perché privarmi della tua vista? Perché trattarmi con tanta indifferenza, Ariel, io che ti sono stata fedele, umile, ma non bassa amica?»
Ariel non la degnò neppure di una risposta.
Soffrì, Elena, come le altre. E passò il resto della sua vita a odiarlo e rimpiangerlo, circondata dai suoi cimeli, dalle sue fotografie, dalle sue lettere, dai suoi regali. Come le altre, appunto.
La sua ultima apparizione al Cinema fu in una piccola parte di “8 e mezzo” di Fellini che la volle perché lei era stata un suo sogno erotico adolescenziale.
Non più giovane e non più bella, la Sangro si fece fotografare nuda nella vasca da bagno, in una patetica citazione di ben altre nudità, quando, dopo i momenti lascivi passati col Vate, si ritirava nel celebre Bagno Blu del Vittoriale.
«Verso i lavacri, tu ti snodi e t’alzi/e balzi, molle nube ove celato/sia l’arco delio». Che poi era il comune atteggiarsi del corpo della donna sul bidet, ma vuoi mettere chiamarlo «arco delio»?