Non solo Suor Virginia de Leyva, la Monaca di Monza che il Manzoni immortalò nel suo capolavoro “I promessi sposi” si accese di passione amorosa nelle anguste stanze di un convento.
Prima di lei a sentir il cuore pulsare forte e soffrire per un amore sfortunato, era stata Suor Mariana Alcofarado, monaca portoghese che visse nel convento di Nostra Signora della Concezione in Beja, in Portogallo, dal 1652 fino alla morte, avvenuta nel 1723.
Come la monaca manzoniana, Mariana era stata forzata a prendere il velo a 12 anni.
<<Ero giovane, credula, mi avevano rinchiuso in questo chiostro fin dall’infanzia, avevo incontrato solo increscevole gente e mai mi era occorso di ascoltare le lusinghe da Voi prodigatemi senza posa>>.
Il “Voi” destinatario delle cinque appassionate lettere riboccanti amore e struggimento che lei scrisse di nascosto al lume delle candele durante notti insonni, era il suo amante, l’ufficiale francese Noel Bouton, Marquis de Chamilly, giunto in Portogallo per combattere nella guerra di restaurazione portoghese che si svolse per cinque anni a partire dal 1663.
Mariana l’aveva visto dalla finestrella della sua cella del convento, se ne era innamorata immediatamente e follemente e quando il bello e volubile Ufficiale osò, per amore del pericolo, rivolgerle la parola…”la sventurata rispose”, come il Manzoni chiosò a proposito della monaca di Monza.
Ne seguì una passione proibita e sacrilega in cui Mariana si abbandonò a lui con totale dedizione ma che invece per lui rappresentò solo un trasgressivo, eccitante capriccio.
Noel Bouton se ne tornò in Francia <<circondato dai piaceri>> e forse dai ricordi, eternati per sempre da quelle sole cinque appassionate e accorate lettere d’amore che Mariana, grazie ad una complice insospettabile, riuscì a fargli recapitare.
<<Vi ho promesso la mia vita non appena vi ho veduto e ora mi è dolce sacrificarvela. Mille volte in un giorno vi rivolgo i miei sospiri, essi vi cercano in ogni dove>>.
E a lui che, con cinica indifferenza, la invitava a dimenticarlo, rispondeva con forza: <<Perché mai dovrei dimenticare tutte le attenzioni per cui usavate testimoniarmi amore? Ne sono stata sedotta e certo mi terrei per ingrata se non vi amassi con la medesima foga concessami dalla mia passione>>.
Ma Noel Bouton l’aveva sostituita con un altro amore e leggeva ormai con malcelato fastidio le parole ardenti che Suor Mariana gli riservava: <<Vi scongiuro di dirmi per quale motivo avete avuto cura di stregarmi in questo modo quando sapevate di dovermi abbandonare. Perché vi siete accanito a rendermi infelice? Perché mai non mi avete lasciata tranquilla nel mio chiostro?>>
Domande a cui il cinico Ufficiale non rispose mai.
Mariana visse per anni macerandosi nello struggimento e nel ricordo, chiusa in quella cella di quel chiostro immerso nel verde e nel silenzio.
Si spegnerà ad un’età venerabile, a ben 83 anni, senza aver mai dimenticato quel suo unico, crudele amore.
Le “Lettere di una monaca portoghese” furono pubblicate per la prima volta a Parigi nel 1669 dall’editore Claude Barbin, circondate da un alone di mistero ancora del tutto fugato.
Molti studiosi sostengono che in realtà quelle lettere costituiscono un’opera letteraria in forma epistolare scritta l’anno precedente la pubblicazione da Gabriel-Joseph de Lavergne, Conte di Guilleragues, amico del drammaturgo Racine.
Ma noi, che amiamo le passioni amorose vere e tormentate, vogliamo continuare a credere che siano state vergate con le lacrime da Suor Mariana Alcoforado, la cui vicenda aveva commosso persino Stendhal che scrisse: “Bisogna amare come la monaca portoghese”.