Rubrica Coriandoli. La storia di Rock Hudson

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Quella mattina del maggio 1984, Roy Harold Scherer Jn stava guardando compiaciuto una foto che lo ritraeva con il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Nonostante i suoi 59 anni, era ancora prestante e fascinoso, pensò, e sorrise.
Ma il suo sorriso si spense immediatamente quando, aguzzando la vista, si avvide di un’escrescenza rosso-nerastra all’attaccatura dei capelli, simile a quelle che aveva notato qualche giorno prima sul suo torace.
Quelle macchie sulla pelle (che oltretutto emanavano un cattivo odore),insieme ad alcuni sintomi che da un po’ di tempo percepiva quotidianamente (forte sonnolenza e mancanza di appetito), lo indussero ad andare da uno specialista.

L’espressione sgomenta del medico e la diagnosi che questi gli fornì lo gettarono nello sconforto più totale: AIDS e ad uno stadio avanzato. Era il 5 Giugno 1984 e per lui niente fu come prima.
AIDS, Roy si ripeté davanti allo specchio, disperato.
Non aveva scampo: la malattia, inesorabile e aggressiva, oltre che allora pressoché incurabile, avrebbe svelato al mondo intero anche una verità abilmente nascosta e occultata al pubblico di mezzo mondo: la sua omosessualità.
Il pubblico, già. Che impatto avrebbe avuto quella rivelazione sulla schiera di ammiratori e soprattutto di ammiratrici che negli anni Cinquanta e Sessanta ne avevano fatto un acclamato Divo di Hollywood e un modello di prestanza virile?
Roy Harold Scherer Jn infatti era il nome vero di uno degli attori più belli, amati ed eleganti (insieme a Cary Grant) di Hollywood: Rock Hudson.
Era nato in una cittadina dell’Illinois, Winnetka, il 17 novembre 1925 e nelle sue vene scorreva sangue tedesco e svizzero per via paterna e inglese e irlandese da parte di madre. Questo incrocio di razze aveva dato vita ad un marcantonio di quasi 2 metri di altezza dalla bellezza statuaria e dal sorriso irresistibile (grazie anche a ripetuti interventi odontoiatrici) che dopo svariati mestieri, tra cui il camionista, fu notato dal potente agente cinematografico Henry Wilson che impressionato e attratto dalla sua prestanza fisica, decise di farlo entrare nell’Olimpo di Hollywood.

Wilson era gay, e anche Roy lo era, e questo, nella conformista America di fine anni Quaranta costituiva un problema: l’omosessualità era ancora un tabù, una vergogna da nascondere.
Il suo agente ne era ben conscio e si mise all’opera per celare l’orientamento sessuale del suo pupillo e per fare di quel bellissimo ragazzone un Divo di Hollywood.
Gli scelse il nome d’arte (pare durante un gay party): “Rock”, come le Rocky Mountains, le Montagne Rocciose, perché così appariva con la sua possanza, e “Hudson”, come il maestoso fiume che scorre a New York, e gli scelse anche una serie di avvenenti fanciulle con cui farsi vedere in giro per alimentare la fama di sciupafemmine, cosa che Roy/Rock non fu mai.
Nel tempo Hudson si rivelerà un ottimo attore, sia nei ruoli brillanti che in quelli drammatici (nel 1957 fu eletto l’attore più popolare d’America) ma gli inizi, complice la dislessia di cui era affetto fin da bambino, la carenza di memoria e la propensione all’alcol (beveva almeno quindici drink al giorno), furono disastrosi: narra la leggenda che per pronunciare la sua unica battuta, “Meglio che tu prenda una lavagna più grande”, nel primo film in cui apparve (“Falchi in picchiata” del 1948) siano occorsi ben trentotto ciak.

Ma Rock era testardo, il suo agente potente, scaltro e ben introdotto, e grazie a lezioni di recitazione e ad un impegno pervicace sui copioni, riuscì ad ottenere ruoli principali in pellicole importanti: “Magnifica ossessione” e “Il trapezio della vita” diretti da Douglas Sirk, “Il gigante” del 1956 per la regia di George Stevens accanto a Liz Taylor e James Dean (che detestava), film per il quale ottenne una nomination all’Oscar e tanti altri.
Negli anni Sessanta diventerà poi un beniamino del pubblico grazie a tutte le spensierate e deliziose commedie girate accanto a Doris Day e a Sandra Dee.
Le donne guardandolo sognavano ad occhi aperti, ma lui non aveva occhi che per i bei ragazzi, preferibilmente biondi e con gli occhi azzurri che a frotte si avvicendavano nella sua villa.

Le voci sulla sua omosessualità si propagarono nello star-system e nei media e nel 1955 il giornale scandalistico Confidential fece sapere alla casa di produzione Universal, di cui Rock Hudson era una punta di diamante, che aveva pronto un articolo che sarebbe stata una vera bomba: i produttori pagarono ben 10.000 dollari per tacitare il direttore della rivista.
Ma poiché la girandola di amanti fugaci e di relazioni maschili stabili si era fatta vorticosa, la casa di produzione gli impose un matrimonio di copertura con la segretaria del suo agente, Phyllis Gates con la quale Rock presenziava a prime di film, eventi mondani e con cui si lasciava fotografare per sviare i sospetti, ma che detestava profondamente e che trattava malissimo, tanto che dopo tre anni di soprusi lei chiese il divorzio, e tanti saluti.
Il suo più grande amore fu Lee Garlington, un bellissimo ragazzo che lavorava come comparsa, con cui visse una storia appassionata durata tre anni. «Lo raggiungevo nella sua villa con il motore della macchina spento per non farmi sentire dai vicini. Stavo con lui tutta la notte e agli eventi ognuno di noi si presentava accompagnato da una donna per non destare sospetti. Pensavamo di essere furbi…» raccontò Lee.

Intanto la sua carriera proseguiva spedita e nel 1971 firmò un contratto principesco con la Universal per la serie televisiva poliziesca “McMillan e signora” e fu uno dei protagonisti, insieme a Kim Novak e alla sua grande amica Liz Taylor, del film “Assassinio allo specchio” del 1980 tratto da un romanzo di Agata Christie.
Quando però apparve come guest star in una puntata della soap opera “Dynasty”, smagrito e dallo sguardo opaco, tutti, pubblico e colleghi, si allarmarono per la sua salute, ma egli pervicacemente imputò il suo stato prima ad una dieta ferrea che lo aveva condotto, così mendacemente sosteneva, all’anoressia e poi sostenne di essere affetto da tumore al fegato.
Rock Hudson sapeva di aver contratto l’AIDS ma non lo rivelò neppure al suo compagno, Marc Christian (un ex barista, biondo, giovane e bellissimo) che lo apprese, sconvolto, dalla televisione e che gli intentò una causa post mortem milionaria, vincendola.

Il 25 luglio 1985, debilitato e ridotto all’ombra di quel che era stato (era passato da 120 kg a 70), mentre era in un ospedale parigino all’avanguardia nelle cure contro l’AIDS, fece uscire un comunicato stampa in cui rivelava la vera natura della sua malattia.
Fu subito panico tra il personale e i ricoverati tanto che l’ospedale si svuotò in un batter d’occhio.
A Rock non rimaneva che rientrare a Los Angeles, ma era talmente parossistica la paura del contagio che nessuna compagnia aerea accettò di imbarcarlo e lui fu costretto ad affittare un Boeing 747 per 250.000 dollari.
Il 2 Ottobre 1985 al Medical Center dell’Università di Los Angeles, accanto a Rock morente c’era solo un amico, al quale un’infermiera annunciò mestamente: «Lo abbiamo perduto.»
Aveva lasciato detto che avrebbe voluto essere cremato e che le sue ceneri fossero disperse in mare.
Così fu, ma la sera precedente Liz Taylor volle riunire nella villa dell’amico morto trecento amici (tra cui moltissimi dei suoi amanti) per una festa in suo onore.
Fu lei alla fine ad alzare il calice con queste parole: «Rock ci avrebbe voluto felici in questo momento. Dedichiamogli un brindisi!»
Tutti gridarono in coro: «Farewell, Rock! Farewell, Rock!» (addio Rock!) e poi tornarono a divertirsi.