Rubrica coriandoli. Giulio II e Michelangelo: scontro fra titani…

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Nel 1503, alla morte (probabilmente per veleno) di Papa Alessandro VI Borgia, salì al soglio pontificio Giuliano Della Rovere che prenderà il nome di Giulio II.
Sarà un papa scomodo, irruento e dispotico (e secondo i numerosi detrattori e nemici anche sodomita e sifilitico), ma conferirà allo Stato Pontificio forza e potenza, tramite una scaltra politica di riassesto finanziario e di riforme economiche e monetarie e nuovi acquisti territoriali e attuerà un razionale processo di sviluppo urbanistico di Roma, migliorandone financo le condizioni igieniche, allora pessime.

Ma soprattutto fu un lungimirante mecenate che farà della Città Eterna una splendida culla di arte e cultura, un faro nel nostro Rinascimento.
Bramante, con il suo straordinario progetto di ricostruzione del Vaticano, Raffaello e le sue divine “Stanze”, Michelangelo, con il suo genio pittorico e scultoreo, resero Roma un astro irradiante imperituri bagliori.

Michelangelo, in particolare, con il suo temperamento difficile e bizzoso, ebbe con Giulio II un tormentato rapporto di “amore-odio”, a partire dal grandioso monumento funebre che il papa stesso gli commissionò e per il quale l’Artista rimase ben 8 mesi a Carrara a scegliere, con la cura e la meticolosità che lo contraddistinguevano, i marmi occorrenti.

Ma poi Giulio II, catturato dal progetto di Bramante per la nuova Basilica di San Pietro, accantonò l’idea del monumento funebre, suscitando l’ira e lo sdegno di Michelangelo (per la cronaca: il monumento funebre sarà da lui eseguito dopo la morte del pontefice e nella stupefacente figura di Mosè, è adombrato il papa stesso).
Piccato, quando Giulio II lo convocò per incaricarlo di dipingere il soffitto della Cappella Sistina, rispose con malcelata spocchia che lui era uno SCULTORE (la scultura era considerata da Michelangelo arte nobile e prediletta) e che non conosceva l’arte dell’affresco; e poi, acidamente, gli mandò a dire che si rivolgesse a Raffaello, lui sì, pittore adatto all’impresa!

La cocciutaggine era tuttavia per entrambi peculiarità temperamentale: Giulio II insisteva che voleva lui e solo lui, Michelangelo urlava che mai e poi mai avrebbe accettato quell’incarico.
Alla fine la spuntò il Papa e l’Artista, coadiuvato da cinque pittori fiorentini, si accinse a quell’impresa titanica.
Ma ben presto il suo carattere scontroso lo portò a liti insanabili con i suoi aiutanti, molti dei quali se ne andarono sbattendo la porta.

Michelangelo, che affrescava spesso disteso di schiena su un’altissima impalcatura, rischiarato solo dalla tremolante luce di alcune candele, lavorò al soffitto della Cappella Sistina per quattro interminabili anni, alla presenza muta e severa del Papa, che ogni giorno si faceva issare sull’impalcatura per vedere da vicino quel genio vigoroso e collerico, solitario e strabiliante.
Quei quattro anni invecchiarono precocemente l’Artista, lo deformarono nel corpo e ancor più nell’anima.
La volta della Cappella Sistina, opera ciclopica e concitata, stupefacente e veemente, è sicuramente uno dei più grandi patrimoni culturali dell’Umanità.
Michelangelo, Genio italico, è immortale anche per questo.