In realtà si chiamava Caio Giulio Cesare Germanico, ma era stato soprannominato “Caligola” da caligae, i calzari che soleva indossare quando, piccolino, si aggirava negli accampamenti romani accanto al padre, il valente condottiero Germanico.
E tanto suo padre era stato uomo valoroso e probo, tanto lui fu personaggio maledetto dagli Dèi.
Fu proclamato Imperatore nel 37 d.C. a 25 anni, dopo aver accelerato (pare) la morte del suo prozio, l’Imperatore Tiberio, soffocandolo con un cuscino per odio (quest’ultimo gli aveva sterminato quasi tutta la famiglia) e per smodata ambizione.
Era stato allevato dalla nonna Antonia che lo aveva accolto in casa insieme alle sue tre sorelle: la morbida Giulia Livilla, la spregiudicata Agrippina Minore (madre del futuro Imperatore Nerone) e la voluttuosa Drusilla.
Una volta divenuto Imperatore, le chiamò a corte, e per tutte e tre, una dopo l’altra, s’accese di un’oscena passione incestuosa che scandalizzò tutta l’Urbe, pure avvezza a sconcezze e dissolutezze.
Ben presto però le prime due sorelle caddero in disgrazia, accusate, a ragione, di una congiura ai propri danni e per questo condannate condannò all’esilio su due isole semideserte dell’arcipelago Pontino.
La terza sorella Drusilla era la sua preferita e quando questa morì giovanissima, apparve schiantato dal dolore; scappò da Roma e vi tornò mesi dopo, sporco, la barba incolta, lo sguardo allucinato.
Ordinò che fosse divinizzata con il nome di Panthea, che tutte le finestre delle case fossero chiuse e le strade rimanessero deserte; proibì ai cittadini di organizzare banchetti, partecipare a feste e persino ridere, e Roma divenne lugubre come il verso di un’upupa.
Ma non s’intorbidò solo con gli amori riprovevoli per le proprie sorelle; ebbe anche quattro mogli, Caligola, e la prediletta (e l’ultima) fu la viziosa e lussuriosa Milonia Cesonia, di cui era talmente invaghito da condurla con sé persino nelle spedizioni militari facendola cavalcare al suo fianco in divisa da battaglia, con tanto di mantello, scudo ed elmo e talmente orgoglioso da mostrarla nuda agli ospiti durante i banchetti. Dissoluta e insaziabile, Milonia arrivò a propinare all’Imperatore una sostanza tossica afrodisiaca che lo portò alla pazzia piano piano.
E così da Imperatore savio ed equilibrato degli inizi, si trasformò in un essere depravato e crudele.
Già il suo aspetto contribuiva a renderlo inquietante: alto, pallidissimo, villoso, membra sottili e gracili, ma pare che per renderlo ancora più ripugnante, egli studiasse davanti allo specchio smorfie e mimiche spaventevoli per atterrire gli interlocutori.
Col tempo divenne un crudele pervertito, alcolizzato cronico, affetto da insonnia debilitante e da una pazzia latente che lo portò a compiere gesti insensati e terrifici: raccolse ad esempio un poderoso esercito per una spedizione militare in Britannia, ma l’unico ordine che impartì ai soldati fu di raccogliere conchiglie lungo la spiaggia per ornare il Campidoglio.
Nominò senatore il suo cavallo Incitato, e gli fece costruire una stalla marmorea con tanto di mangiatoia d’oro. E a proposito di Senatori, essendo lui affetto da calvizie, li costrinse a raparsi a zero.
Prosciugò le casse di Roma con le sue spese folli: le sue pietanze erano cosparse di polvere d’oro e le navi della sua flotta, oltre ad avere le poppe ornate di gemme sfolgoranti, racchiudevano persino terme e alberi da frutta. Per rimpinguare le casse dell’Urbe fece allora costruire un lussuosissimo lupanare, in cui far confluire le matrone più in vista e più belle di Roma.
Il suo cervello era annebbiato dai vapori torbidi della follia e della crudeltà: molti sotto il suo Principato perirono di morte violenta, che lui spacciò per suicidi.
Più volte al Circo Massimo, quando il sole era più cocente, faceva togliere il velario protettivo e proibiva al pubblico di uscire: centinaia di persone, costrette al caldo insopportabile, perivano inesorabilmente.
Faceva bruciare vivi attori e poeti se le loro interpretazioni non erano state di suo gradimento.
“Che muoia, e che s’accorga di morire” era il suo terribile motto.
Il 24 Gennaio 41 d.C.durante i Giochi Palatini, mentre Caligola stava percorrendo il corridoio che dalla sede dei Giochi lo conduceva a Palazzo, un manipolo di Senatori, Cavalieri, Ufficiali delle coorti si materializzò all’improvviso davanti ai suoi occhi e prima che lui potesse realizzare ciò che stava per succedere, decine di altri congiurati si apparvero sbucando da ogni dove.
Uno di loro gli sferrò una pugnalata diretta alla gola, ed un altro gli affondò il pugnale nel costato. Altri si accanirono sul suo corpo ormai esanime, arrivando a strappargli i genitali.
I Pretoriani della Guardia Personale rimasti devoti a Caligola reagirono fulminei.
La mischia diventò furibonda; alte grida si levarono e il luogo fu screziato di sangue e di odio.
Morì, Caligola, l’Imperatore folle, e quando la notizia si propagò per Roma come un dardo, il popolo si abbandonò a grida di esultanza.
Nella foto: dipinto di Lawrence Alma-Tadema “Una lettura di Omero” 1885