Rubrica coriandoli: Apollinaire e il furto della Gioconda…

Categories: News

Wilhelm Albert Vladimir Popowski de La Selvade Apollinaris de Waz-Kostrowitzky ebbe natali illustri, un’infanzia difficile, una Vita esaltante e una morte prematura.
Si liberò presto di tutti i suoi altisonanti nomi per acquisirne uno con cui è universalmente conosciuto: Guillaume Apollinaire. Professione Poeta.
Anzi creatore originale e genialoide di “calligrammi”, ovvero poesie simboliste/surrealiste/futuriste/dadaiste scritte in modo da formare strani disegni: fontane, pipe, uccelli, frecce, strumenti musicali.
Divertissements per palati fini, insomma.

Nato a Roma il 26 Agosto del 1880 da una sedicente contessa polacca (in realtà un’avventuriera, per non dire altro) e da un aristocratico vero, ufficiale alla Corte di Sua Maestà Francesco II di Borbone, non fu riconosciuto dal nobile padre, e dopo un’adolescenza irrequieta e nomade in giro per l’Europa al seguito della sciagurata madre, approdò nella rutilante e fantasmagorica Parigi d’inizio secolo.
Qui divenne da subito uno degli straordinari protagonisti dell’Arte e della Cultura dei primi del Novecento, stringendo amicizia con De Chirico, Picasso e soprattutto Marinetti, quel creatore del Futurismo, che al grido “uccidiamo il chiaro di luna” aveva dichiarato guerra ai languori tardo romantici e, insieme alla pittrice polacca Tamara de Lempicka, si era diretto verso il Louvre con una tanica di benzina per dare fuoco all’odiato simbolo del passato. Una boutade, una provocazione. Niente di più.

E fu proprio l’amicizia con l’anticonformista Poeta italiano a mettere nei guai Apollinaire.
Era accaduto che il 21 Settembre 1911 un imbianchino italiano, tale Vincenzo Peruggia, approfittando del giorno di chiusura del Louvre (era un lunedì), si era introdotto indisturbato nel più famoso Museo del mondo e aveva rubato nientemeno che la Gioconda di Leonardo, staccandola dalla cornice e nascondendola sotto la giacca.
Il furto aveva avuto un clamore mondiale, ma il colpevole sarebbe stato individuato solo due anni dopo.
Ebbene, dal giorno seguente al furto la gendarmeria francese, nella ricerca spasmodica di trovare il responsabile, prese un abbaglio dopo l’altro, colpendo alla cieca e arrestando a caso gente che col furto non c’entrava nulla.

La Sûreté finì per arrestare anche Apollinaire, convinta da indizi “ideologici” più che reali: innanzitutto il Poeta aveva più volte manifestato le sue simpatie nei confronti del Futurismo che, come abbiamo visto, ambiva a distruggere i capolavori artistici del passato, e, in secondo luogo, aveva come segretario un tale che aveva già rubato delle statuette al Louvre (prontamente smascherato) e che, in vena di esibizionismo, aveva millantato il furto della Gioconda per salire alla ribalta nazionale.
Un povero imbecille, insomma, ma che causò ad Apollinaire un’accusa infondata ed infamante di complicità che lo portò dritto dritto a La Santé, la temuta prigione parigina, nonostante le accorate e indignate proteste del Poeta e di tutta la comunità artistica della Ville Lumière.
Il soggiorno nelle patrie galere fu breve, ma lui ne rimase profondamente segnato.
Non poteva immaginare che sarebbe arrivato a rimpiangere quei giorni: nulla rispetto alla terribile esperienza che di lì a poco avrebbe vissuto.

1914: scoppia la Grande Guerra, da lui definita alla maniera futurista “un grand spettacle” (per Marinetti era “igiene del mondo”); Apollinaire si arruola volontario per difendere la sua Patria d’elezione, la Francia.
Il 17 Marzo 1916 dentro una trincea viene colpito dalle schegge di una granata e per rimuoverle viene sottoposto a ben due trapanazioni del cranio.
Sopravvive e con la testa fasciata si fa ritrarre sul suo nuovo libro di poesie “Le poète assassiné”.

Quella a cui non sopravvisse fu la nefanda ed esiziale epidemia di febbre spagnola che due anni dopo mieté più vittime della guerra stessa. Apollinaire cercò di curarla con “l’olio di Harlem” un intruglio medicamentoso tratto dalla cosiddetta “erba del gatto”, ma invano.
Il 9 Novembre 1918, nella sua soffitta parigina, sentendosi ormai prossimo alla fine, chiese ad Ungaretti, che era presente insieme ad altri amici, di andargli a prendere dei sigari; questi corse a comprarglieli e poi fece quattro a quattro le scale per esaudire quell’ultimo, bislacco desiderio del suo amico morente.
Non fece in tempo. Quando arrivò, Guillaume Apollinaire, il visionario, strampalato, geniale Poeta delle “parole in libertà “, era appena spirato.
A 38 anni.

Nella foto in home: “Poème à Lou”, uno dei “Calligrammes” di Apollinaire