di Daniela Musini
Stesso padre, Walter de Havilland, brillante avvocato inglese docente di diritto alla Waseda University di Tokyo, stessa madre, Lilian Augusta Ruse, talentosa attrice di teatro alla Royal Academy of Dramatic Arts di Londra (la stessa che sfornò attori del calibro di Peter O’Toole e Vivien Leigh), stesso sangue, stessa perfidia.
Tra Olivia, che conservò il cognome del padre, e Joan, che assumerà quello del secondo marito della madre, Fontaine, per tutta la loro lunghissima vita intercorse una lotta senza quartiere, qualunque fosse l’oggetto del contendere: l’amore della madre, le attenzioni degli uomini, la statuetta dell’Oscar.
Entrambe le sorelle nascono a Tokyo: Olivia Mary il 1 luglio 1916 e quindici mesi dopo, il 22 ottobre, Joan de Beauvoir. Fin da piccola Joan si mostra cagionevole di salute ed è fatta oggetto per questo di premure e coccole da parte della madre ed è allora che inizia la gelosia di Olivia: egocentrica e prepotente com’è, non tollera le attenzioni che la mamma riversa alla sorellina più piccola e in lei si insinua, come un rivolo di veleno, un sentimento aspro e perfido nei confronti di questa che non nasconderà mai e né proverà ad arginare.
Proprio a causa della saluta malferma della secondogenita, Lillian propone al marito di ritornare in Inghilterra per ricevere cure adeguate e poter contare anche sull’aiuto dei familiari; lui accondiscende e suggerisce: «andate avanti voi; io disbrigo degli affari urgenti e vi raggiungo fra qualche mese.»
Lilian e le due bambine si imbarcano, ma nella traversata Joan si ammala gravemente di polmonite e così la donna decide di fare scalo e fermarsi in California confidando che il clima mite possa giovare alla guarigione della piccola e gracile figlioletta.
Passano dei mesi e il padre continua a restare a Tokyo: già da tempo il matrimonio tra i due era traballante e lui aveva imbastito una relazione con la governante di casa de Havilland ed è deciso ad ottenere il divorzio. Lo richiede alla moglie con un telegramma e lei, che evidentemente non è più innamorata e vuole chiudere la questione al più presto e senza drammi, si reca a Tokyo, senza battere ciglio firma le carte e il giorno successivo riparte per l’ America.
Dopo poco tempo si lega sentimentalmente a George Milan Fontaine, proprietario di grandi magazzini, uomo severo e ossessionato dall’ordine e dalla disciplina, che all’occorrenza non esiterà a lesinare alle figliastre punizioni tipo bicchieroni di olio di fegato di merluzzo o colpendole agli stinchi con grucce di legno.
Il clima che si respira in casa è opprimente e caratterizzato da educazione militaresca e austerità spartana (vietati anche i pupazzi nella loro cameretta), ma la comune sofferenza e l’odio nei confronti del patrigno, invece di indurre le due bambine a solidarizzare fra loro amorevolmente, acuisce la rivalità e le spinge a farsi ripicche e dispetti terribili.
E così su Joan dalla salute malconcia ma dalla resilienza indomita, Olivia scarica gelosia e perfidia con angherie di ogni genere: un giorno le tagliuzza tutti i vestiti, un altro la umilia sghignazzando di fronte agli studenti maschi della scuola accusandola di non saper attrarre i ragazzi, un altro ancora, mentre erano a bordo piscina, la atterra rovinosamente e le si butta addosso con tutto il suo peso con una mossa degna dei migliori atleti di wrestling, rompendole la clavicola.
Joan ribatte progettando meticolosamente (a 9 anni) un piano per ucciderla che però non ebbe mai il coraggio di attuare.
Durante l’adolescenza il divario si fa sempre più accentuato: Olivia è diventata una ragazza sicura di sé, civettuola ed estroversa; Joan deve fare i conti con i suoi problemi di salute, con la sua timidezza e con lo scarso affetto materno che ora le preferisce la primogenita meno problematica e più indipendente e risoluta di lei.
Sentendosi tradita, Joan svilupperà nel tempo con la madre un rapporto difficile e tortuoso, fatto di slanci affettuosi e periodi di grifagna ostilità.
Le due sorelle de Havilland sono diverse e si detestano ma hanno una cosa in comune: amano il mondo del Teatro.
E a sorpresa proprio per Joan arriva una splendida occasione: viene scelta dalla compagnia teatrale di Saratoga, la città dove vivono, come protagonista per l’allestimento di “Alice nel paese delle meraviglie”.
Si presenta raggiante alla famiglia e con un sorriso perfidetto annuncia la bella novità, ma la felicità per lei dura poco: ha una ricaduta improvvisa di bronchite e si ammala gravemente.
E Olivia che fa? Ovvio: ne approfitta spudoratamente per rubarle la parte. Si dimostra brava e carismatica e comincia a calcare i palcoscenici con crescente successo, tanto da venir notata dal regista austriaco Max Reinhardt che la sceglie per la versione cinematografica di “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare e le fa firmare un contratto con la Warner Brothers.
Ha inizio così una brillante carriera che la vede diventare famosa in una serie di film “cappa e spada” con il fascinoso Errol Flynn per il quale perde la testa; quando sua sorella Joan le fa notare, non si sa se per affetto sincero o con malcelata cattiveria che lui è uno sciupafemmine incallito e che non lascerà mai la moglie per lei, le due sorelle litigano furiosamente accentuando sempre di più il divario fra loro.
A Joan intanto la madre impone di fare da autista alla sorella che non sa guidare e un giorno, mentre gironzola per gli studi della Warner Brothers in attesa che Olivia termini le riprese, viene avvicinata da un agente che, colpito dal suo volto sofisticato e dai grandi occhi espressivi e smarriti, la induce ad entrare nel mondo nel Cinema.
Apriti cielo: la sorella strepita e minaccia, la madre inveisce e tuona, ma Joan, la timida e (all’apparenza) remissiva Joan tira fuori le unghie e ribatte con un tono che non ammetteva repliche che avrebbe fatto l’attrice anche lei, a costo di ingaggiare con entrambe una guerra senza fine.
«Olivia era nata leonessa e io tigre» dirà anni dopo ad una giornalista «per la legge della giungla non potevamo essere amiche.» Ipse dixit.
Da quel momento la guerra fra le sorelle de Havilland dal privato si estende come un’ombra cupa anche sulla professione, dato che entrambe, ambiziose e volitive come sono e spinte alla competizione dalla stessa madre, vogliono conquistare Hollywood.
Per diversificarsi dalla sorella, Joan decide di adottare un cognome d’arte: prova con Burfield (come una strada di Hollywood ), ma non sfonda, poi con St. John, ma il successo non arriva. Una sera al Trocadero (famoso nightclub di Los Angeles) una veggente le si avvicina e le sussurra “se vuoi raggiungere fama e onori devi adottare un cognome che termini con la e” ed è allora che Joan ha l’idea di prendere il cognome d’arte dell’odiato patrigno: Fontaine.
La predizione della maga si rivela esatta: nel 1935 Joan firma un contratto con la prestigiosa major RKO ed appare in alcune pellicole nelle vesti di donne fragili, sensibili e insicure oltre che in alcune pellicole sofisticate, ma seppure fosse molto brava, non riesce a raggiungere i vertici della popolarità che nel frattempo aveva conseguito sua sorella Olivia.
Anno di grazia 1939: il potente produttore David Selznick vuole realizzare un’imponente e sontuosa trasposizione cinematografica del romanzo di Margaret Mitchell “Via col vento” e ingaggia come regista George Cukor che a sua volta convoca Joan per il ruolo della coprotagonista Melania (per il ruolo di Scarlett/Rossella era sta scelta Vivien Leigh), ma a Selznick il viso aristocratico e inquieto di Joan non convince: «Per questo ruolo il tuo volto e la tua figura non vanno bene per interpretare una normale e semplice donna del Sud: mi occorre un’attrice dall’aria meno aristocratica e più comune», al che Joan, piccata e delusa perché ambiva moltissimo ad ottenere quel ruolo, risponde sarcastica: «beh, allora mia sorella sarebbe perfetta per quella parte!»
Joan si morderà le mani più volte di aver fatto il nome di Olivia: se l’intento di quella battuta era stato di sminuirne l’allure, il risultato fu invece quello di consegnarle un ruolo che l’avrebbe eternata per sempre nella storia del Cinema.
Olivia quindi avrebbe dovuto essere grata alla sorella, e questo involontario “passaggio di consegne” avrebbe potuto riportare un po’ di pace tra di loro, ma succede che Joan accoglie tra le sue braccia l’attore inglese Brian Aherne, appena mollato da Olivia, e se lo sposa lasciando quest’ultima di stucco e inviperita.
Al ricevimento per il matrimonio di sua sorella, Olivia fa un trionfale ingresso sottobraccio al suo nuovo amante, uno degli uomini più ricchi, fascinosi e potenti di Hollywood: l’eccentrico miliardario/aviatore/produttore Howard Hughes, il quale, forse perché preda di un improvviso colpo di fulmine o di qualche Martini di troppo, mentre balla con la futura sposina, la stringe a sé e le chiede di mollare il fidanzato e di sposarlo.
Joan corre dalla sorella e le spiffera tutto, non si sa per lealtà o per sottile perfidia. Olivia ha una crisi di nervi, le rivolge epiteti irripetibili e molla Hughes.
Intanto il regista George Cukor che era stato licenziato da Selznick e allontanato dal set di “Via col vento” (al suo posto subentrerà Victor Fleming) decide di girare un film (alla cui sceneggiatura contribuì anche lo scrittore Scott Fitzgerald) dal titolo “Donne” con un cast tutto al femminile tra cui Joan Crawford, Joan Fontaine e Paulette Goddard; la pellicola, una commedia sofisticata e frizzante, ha un buon successo e la Fontaine, nei panni di Peggy Day, piace e convince.
“Via col vento” intanto è un trionfo planetario e la sera del 29 febbraio 1940, alla consegna degli Oscar fa incetta di premi nel lussuosissimo Hotel Ambassador di Los Angeles dove si svolge la cerimonia. Olivia de Havilland è candidata come migliore attrice non protagonista ed è certa di avere la vittoria in mano, ma gliela scippa Hattie McDaniel, la “Mamy” del film, la prima attrice di colore a ricevere la statuetta.
Olivia non la prende per niente bene: prende una scusa, si alza e scappa nelle cucine, dove cuochi e camerieri sbalorditi la vedono piangere di rabbia tormentando un fazzoletto tra le mani; solo dopo essersi ricomposta e aver riconquistato una calma apparente, ritorna al suo tavolo e si complimenta a denti stretti con la vincitrice.
Joan segretamente gongola per la sconfitta della sorella, ma quella sera ha un ulteriore motivo per essere felice: nel pomeriggio era stata scelta per la parte della protagonista in un film che sarebbe uscito nelle sale alcuni mesi dopo: “Rebecca, la prima moglie”. Tratto dal romanzo omonimo di Daphne di Murier e diretto da Hitchcock entra da subito nella storia del Cinema e proietta Joan nell’empireo hollywoodiano.
È una personale rivincita per lei perché è lo stesso Hitchcock ad insistere ostinatamente nel volerla scontrandosi con il produttore Selznick che avrebbe voluto per quella parte, udite udite, proprio sua sorella Olivia.
Joan è radiosa quando si presenta per il primo ciak, ma da subito deve fare i conti con il malanimo e l’avversione del protagonista maschile, Lawrence Olivier, che aveva fatto il diavolo a quattro affinché quella parte fosse affidata alla sua futura moglie Vivien Leigh.
Non è l’unico a trattarla con freddezza: Joan percepisce un clima di diffidenza e ostilità da parte di tutta la troupe. Non solo: deve subire anche l’isolamento forzato voluto sadicamente da Hitchcock per renderla ancora più insicura ed inquieta, e tutte queste difficoltà la renderanno perfetta nelle vesti della fragile seconda moglie del perturbante de Winter magistralmente interpretato da Olivier.
Quando il film esce nelle sale, pubblico e critica, guardando quei suoi occhi sempre ad un passo dall’abisso, scommettono che sarà lei a vincere l’Oscar 1941 quale migliore attrice anche se quell’anno dovrà scontrarsi con mostri sacri come Bette Davis protagonista di “Ombre malesi” e Katherine Hepburn mirabile interprete di “Scandalo a Phidalelphia”..
La sera della premiazione “Rebecca la prima moglie” vince sì come migliore film (surclassando perfino “Il grande dittatore” di Chaplin), ma a salire a ricevere la statuetta quale migliore attrice protagonista sarà, a sorpresa, Ginger Rogers per la sua interpretazione in “Kitty Foyle”.
Stavolta è Olivia a gongolare per la sconfitta della sorellina.
La carriera delle de Havilland intanto procede luminosa e l’anno successivo accade una cosa straordinaria rimasta negli annali del Cinema.
Il 26 febbraio 1942 nel sontuoso salone del Biltmore di Los Angeles agli Oscar, tutti gli elegantissimi e celebri astanti assistono ad una vera e propria sfida all’ultimo sangue, seppure condotta in abiti di lamé, gioielli sfavillanti e sorrisi falsissimi. Era accaduto che entrambe le sorelle (che per zittire le malelingue avevano deciso di fare un immane sforzo e sedere allo stesso tavolo) fossero in corsa per la statuetta più ambita, quella di attrice protagonista: Olivia per “La porta d’oro” di Mitchell Leisen (accanto a Charles Boyer) e Joan per “Il sospetto” di Hitchcock (con Cary Grant come partner).
I fotografi prima del verdetto si sbizzarriscono e le tempestano di flash e loro si mostrano affiatate, sorridenti, scherzose, complici come in effetti non erano e non saranno mai: un teatrino montato tutto a favore della stampa e dei presenti.
Ma quando viene proclamata la vincitrice, Olivia impallidisce: è Joan ad accaparrarsi la dorata statuetta; vincendo rabbia e invidia, la maggiore delle sorelle de Havilland si avvicina alla minore per congratularsi, ma quest’ultima, sdegnosamente, le volta le spalle.
Da quel momento sarà guerra aperta e al diavolo l’ipocrisia di facciata: da quel momento non si tratteranno più ed eviteranno di incontrarsi e nella notte degli Oscar 1947, sarà Olivia, vincitrice come migliore protagonista per il film “A ciascuno il suo destino”, a voltare teatralmente le spalle alla sorella quando questa le si avvicina per complimentarsi con lei applicando alla lettera l’evangelico “chi di spada ferisce, di spada perisce”.
E quando i fotografi insistono per immortalare le sorelle l’una accanto all’altra, l’agente di Olivia interviene secco: «La signora de Havilland non intende essere fotografata con la sorella.» Punto.
La carriera per entrambe continua ad essere fonte di soddisfazioni e riconoscimenti; sarà lunga e fortunata soprattutto per Olivia che brillerà in film diretti da Anatole Litvak, William Wyler e Stanley Kramer e sarà straordinaria interprete in pellicole quali “Lo specchio scuro”, “La fossa dei serpenti”, “L’ereditiera” (che le valse il suo secondo Oscar nel 1950), “Mia cugina Rachele”, “Piano piano…dolce Carlotta” (accanto alla sua grande amica Bette Davis), “La papessa Giovanna” (insieme a Liv Ullmann), “Airport 77” ricevendo nel corso degli anni prestigiosi riconoscimenti: oltre ai due premi Oscar, anche tre Golden Globe e la Coppa Volpi.
Joan da par suo apparirà in più di 45 film (tra i quali “La porta proibita”, “La sfinge del male”, “Il valzer dell’Imperatore” , “L’alibi era perfetto”) e lavorerà con registi del calibro di Billy Wilder, Robert Stevenson e Fritz Lang senza però ripetere più i fasti degli anni Quaranta.
La loro vita privata procederà invece secondo un percorso piuttosto accidentato: Olivia dopo numerose relazioni (fra queste anche con il regista John Huston e il collega James Stewart) contrarrà due matrimoni e dal primo marito avrà un figlio (che morirà prematuramente a 42 anni) e una figlia dal secondo, mentre Joan si sposerà quattro volte, concepirà con il secondo marito una figlia e ne adotterà un’altra, una bambina peruviana con la quale, come confesserà nell’autobiografia “Nessun letto di rose”, avrà rapporti difficili così come li aveva avuti con la madre e la sorella, tanto che la ragazza a diciassette si allontanò per sempre dalla casa materna e non volle più incontrarla.
Sorelle talentose dalla carriera strepitosa che hanno concorso entrambe alla gloria di Hollywood e a scrivere la storia del Cinema, ma soprattutto sorelle nemiche che, immaginiamo non senza dolore e rimpianti, non sono mai state capaci di amarsi.
Nel corso degli anni ci furono dei tentativi di riavvicinamento: nel Natale del 1961, ad esempio, quando con figli e mariti trascorsero il Natale nell’appartamento di Joan a New York, salvo poi litigare ferocemente tanto da far dire alla padrona di casa «è stato un incidente peggio di Hiroshima», nel 1967 quando si prestarono ad essere fotografate vicine vicine e sorridenti ad una festa organizzata da Marlene Dietrich o quando nel 1972 si faranno convincere dalla fotografa Ellen Graham ad apparire in un famoso servizio fotografico in cui appaiono addirittura abbracciate accanto alla loro controversa, amata/odiata madre Lillian.
Ma alla morte di questa, nel 1975, smisero completamente ogni rapporto dopo una lite furibonda. Era accaduto che la loro mamma si era ammalata di cancro: aveva 88 anni e mentre Olivia avrebbe voluta farla operare, Joan si era opposta ritenendo l’intervento chirurgico troppo rischioso.
Ebbene, Joan parte in tournée teatrale e Olivia dà l’assenso all’operazione che si rivela fatale: Lillian muore, Joan non viene neppure informata e apprende della sua morte giorni dopo.
Infuriata, riesce a bloccare il funerale che la sorella avrebbe voluto celebrare senza di lei, e torna per le esequie: le due sorelle, senza neppure rivolgersi lo sguardo, si passano, silenziose e livide, l’urna con le ceneri della loro mamma che verrano sparse nel giardino.
All’apertura del testamento si scopre che nonna Lillian aveva completamente e volutamente ignorato i figli di Joan ai quali non lascia né un centesimo né un ricordo.
«Sono stata la prima a sposarmi, la prima a vincere un Oscar, la prima a diventare madre. Se morirò prima di lei la farò infuriare perché l’avrò battuta anche in quello» aveva detto in un’intervista al curaro Joan e la sua più che una boutade apparirà come una profezia: sarà infatti lei a morire per prima a 96 anni nel 2013, mentre sua sorella Olivia è ancora viva e vegeta e alla veneranda età di 104 ostenta ancora il sorriso e lo sguardo di un tempo, quello della dolce Melania di “Via col vento”, l’acqua cheta che sa tenersi ben stretto il suo Ashley neutralizzando l’uragano Scarlet/Rossella.
Lei è rimasta l’ultima interprete in vita della pellicola forse più famosa della storia del Cinema e l’ultima Diva (ora che anche l’ultracentenario Kirk Douglas è morto) di anni gloriosi e irripetibili per Hollywood, ma il suo film personale con la sorella Joan non è stato un successo.
No, decisamente no.
L’articolo è stato pubblicato sulla testata Vanilla Magazine