ANNE SEXTON
di Daniela Musini
Pareva uscita dalle pagine di Scott Fitzgerald, Anne Sexton, con quel corpo fatto per il peccato e quella voce da brivido
Nacque a Newton vicino Boston, il 9 novembre 1928, scrisse poesie che furono scudisciate e visse una vita che fu un delirio, un excitable gift, un dono eccitante, come lei lo definiva, ma che rifiutò sistematicamente, intossicandosi di torazina ed alcol.
Ebbe un rapporto febbricoso ed “incestuoso” con il suo psicanalista, che lei chiamava doctor-daddy, “dottor paparino”, che le ispirò poesie strazianti e carnalissime.
Quando lui, stanco di quel nevrotico ed allucinato rapporto adulterino, l’abbandonò per tornare dalla sua famiglia, lei scrisse Al mio amante che torna da sua moglie, una lirica che era un graffio sanguinante e si buttò dalle scale, fratturandosi un’anca e rimanendo claudicante per sempre.
Internata più volte in ospedali psichiatrici, due volte in coma per overdose di psicofarmaci, fece del whisky e del sesso il degradante leitmotiv del resto della sua vita.
Nei sempre più rari momenti di lucidità, scrisse liriche di struggente bellezza e di devastante solitudine.
A quarantasei anni, distrutta dagli eccessi e dalla follia, quella vita, quell’excitable gift le sembrò insopportabile.
In uno scontroso giorno autunnale del 1974, Anne indossò una sdrucita pelliccia dell’amata-odiata madre, andò in garage, si chiuse in macchina, accese la radio ed avviò il motore.
Il monossido di carbonio fece il resto.
AL MIO AMANTE CHE RITORNA DA SUA MOGLIE
Lei è tutta là.
Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costrutta.
Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.
Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.
Lei è molto di più. Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento. Lei è tutta armonia.
S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,
ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,
l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.
Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.
Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:
al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
– alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa –
al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera – per il richiamo –
lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.
Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.
Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.