Le grandi voci della Poesia a cura di Daniela Musini

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Da oggi inizia una nuova rubrica curata da Daniela Musini dal titolo Le grandi voci della Poesia in cui, periodicamente, Vi presenterà Autori straordinari e liriche immortali, da lei scelti e commentati.

Una notizia per tutti gli estimatori: Daniela sta lavorando febbrilmente al suo nuovo recital/concerto dal titolo, emblematico, di Hymne à l’Amour (mutuato dalla celebra canzone di Edith Piaf), che si preannuncia come uno spettacolo ancora più intenso ed emozionante di tutti quelli ai quali la nostra Daniela ci ha abituati.

In esso la versatile Artista declinerà l’Amore in tutte le sue accezioni, dalla passione allo struggimento, dalla tenerezza alla sensualità, attraverso l’interpretazione di poesie toccanti, sensuali lettere d’amore e meravigliosi brani eseguiti da lei stessa al pianoforte.

Buona lettura, vi lascio con il primo articolo di Daniela Musini su Marina Cvetaeva (nella foto in home page ed in fondo all’articolo).

Paolo Di Sabatino

 

LE GRANDI VOCI DELLA POESIA a cura di Daniela Musini

 

MARINA CVETAEVA

 

L’amore? È lama? È fuoco?

Così si chiedeva, in un celebre incipit, Marina Ivanovna Cvetaeva, una delle più grandi voci della poesia mondiale.

Sì certo, l’Amore è lama e fuoco, ma è anche un rogo, un gioco di specchi e di scacchi, estasi e tormento.

E tutto questo vibra nelle liriche di questa poetessa straordinaria e donna appassionata, che conobbe l’Amore in tutti i suoi prismatici aspetti e lo visse senza risparmio e senza distinzione di sesso, con pagano furore e fatalissimo struggimento.

Nata a Mosca nel 1892, “nella vita e nell’arte aspirò sempre, impetuosamente, avidamente, quasi rapacemente, alla finezza ed alla perfezione”, come scrisse Boris Pasternak, l’autore de “Il dottor Živago”, che l’ammirò incondizionatamente.

La poesia della Cvetaeva è tra le più originali del Novecento: scevra da sentimentalismi e morbidezze, predilige il verso secco e scabro, che rifiuta i nessi logici normali per approdare ad una scrittura nella quale l’ordito fonetico e musicale è preminente.

Il suo stile teso ed arrochito, le sue subitanee illuminazioni, i suoi strappi sonori sono riverberi di un’esistenza altrettanto drammatica e corrusca. Figlia di una pianista (e la Musica sarà sempre nutrimento indispensabile della sua anima) e di un noto filologo, fondatore del Museo delle Belle Arti (in seguito Museo Puskin), si abbeverò fin dall’infanzia alle sorgenti della cultura, intridendo la sua Vita di Poesia e Arte.

Il suo temperamento inquieto ed irrequieto, un rapporto difficile con il figlio, le traversie politiche della sua Russia, che lascerà nel 1922, il continuo peregrinare in varie città che, se da una parte l’arricchì interiormente, dall’altra le provocò un insopprimibile senso di sradicamento, la morte della figlia di pochi anni e del marito amatissimo (nonostante mille altri amori), sfinirono la sua vitalità e la sua gioia di vivere.

Tornò nella sua Patria nel 1939: l’atteggiamento ostile delle autorità (durante la Rivoluzione del 1917 aveva espresso consenso ai Menscevichi, la fazione avversa ai Bolscevichi) l’amareggiò ulteriormente.

“Io non voglio morire. Io voglio non esistere”, scrisse. Terribile. E in una delle sue ultime lettere si legge: “Già da un anno cerco con gli occhi un gancio…da un anno prendo le misure della morte”. E lo trovò quel maledetto gancio.

Il 31 agosto 1941, una domenica mattina, Marina Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e s’impiccò. Ai suoi funerali non partecipò nessuno.

 

Il tuo nome è una rondine nella mano,

il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.

Un solo unico movimento delle labbra.

Il tuo nome sono cinque lettere.

Una pallina afferrata al volo,

un sonaglio d’argento nella bocca.

 

Un sasso gettato in un quieto stagno

singhiozza come il tuo nome suona.

Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni

il tuo nome rumoroso rimbomba.

E ce lo nomina lo scatto sonoro

del grilletto contro la tempia.

 

Il tuo nome – ah, non si può! –

il tuo nome è un bacio sugli occhi,

sul tenero freddo delle palpebre immobili.

Il tuo nome è un bacio dato alla neve.

Un sorso di fonte, gelato, turchino.

Con il tuo nome il sonno è profondo.

 

Marina Cvetaeva