di Daniela Musini
Era lasciva, colta, viziosa e ambiziosa: era Giulia, figlia unica e amatissima dell’Imperatore Ottaviano Augusto e dolorosa spina nel fianco di tutta la sua vita.
Nacque nel 39 a.C., probabilmente il 30 ottobre, lo stesso giorno in cui suo padre Ottaviano ripudiò sua madre Scribonia, nonché sua seconda moglie, perché trafitto dal dardo della passione nei confronti di Livia Drusilla, che sarà la sua influente e austera compagna fino alla morte.
Giulia fu staccata dalla madre e trascorse l’infanzia nella casa paterna, sotto lo sguardo severo di Livia e facendo di tutto per non somigliare all’odiata matrigna che provò incessantemente a modellarla secondo il mos maiorum, gli antichi e morigerati costumi dell’età repubblicana; le insegnò a tessere e a filare la lana, cercò di inculcarle modi pudichi e temperati, ma fu tutto inutile: Giulia era ribelle, trasgressiva e spregiudicata di natura e irrideva quegli insegnamenti che l’inflessibile Livia le impartiva.
Il sangue scorreva impetuoso nelle sue vene: a lei piaceva sedurre gli uomini e sperimentare con loro tutti i meandri di una sensualità che avvertiva imperiosa.
Nel 25 a.C., quando aveva solo quattordici anni, fu data sposa al bellissimo Marco Claudio Marcello, suo cugino diretto che aveva diciassette anni ed era gracile e delicato. Lei gli voleva bene, ma non sentiva verso di lui quel trasporto erotico che invece avvertiva incoercibile verso gli altri maschi.
Marcello era adorato da suo zio Ottaviano Augusto e tutti ritenevano che sarebbe stato lui il suo successore come Imperatore, ma sua moglie Livia lo osteggiava silenziosamente e subdolamente poiché suo obiettivo era quello di portare sul trono di Roma Tiberio, suo figlio di primo letto.
Il giovane Marcello morì improvvisamente a soli diciannove anni: malattia oscura o avvelenamento su mandato di Livia?
Marcello fu pianto da tutta Roma e anche da Giulia, ma non più di tanto. Era stato un marito troppo tiepido e lei a diciotto anni anelava ad avere accanto a sé un uomo gagliardo e prolifico.
Nell’attesa di impalmare qualcuno degno di lei e della sua stirpe, diede voce al suo rorido erotismo abbandonandosi a illimitati congressi carnali sia con uomini potenti sia con illustri sconosciuti. La sua sensualità sbrigliata e la sua brama di godere dei piaceri della vita indussero lei, la figlia dell’Imperatore di Roma, a comportamenti oltraggiosi della morale che non le saranno mai perdonati.
La sua natura era inquieta e ribelle, esuberante e disinibita, spavalda e carnale e il padre, che aveva cercato inutilmente di ammonire quella figlia debosciata, cercò di correre ai ripari dandole un nuovo marito: Marco Vipsanio Agrippa, quarantunenne vigoroso e rude, gagliardo e autorevole, suo braccio destro e amico, nonché grande stratega militare (aveva sconfitto Marco Antonio e Cleopatra nella mitica battaglia d’Azio).
Nonostante la differenza d’età fra lui e Giulia di oltre vent’anni, fu un matrimonio riuscito, allietato dalla nascita di cinque figli e i primi due, Caio e Lucio, furono adottati da Augusto come suoi futuri successori.
Bella e lussuriosa, frivola e scapestrata, i fianchi pieni e il sorriso adescante, a Roma, con il marito spesso assente per imprese militari, Giulia arrivò ad oltraggiare persino il Foro, recandovisi con più uomini per furtivi e plurimi amplessi.
Spiritosa, pungente e spavaldamente sarcastica, a chi si meravigliava di come i cinque figli avuti da Agrippa fossero tutti somiglianti al padre, lei rispondeva con ironica franchezza: «Non prendo passeggeri a bordo se non quando ho fatto il pieno.»
Lo storico Velleio Patercolo commentò acido: «credendo che a causa della propria privilegiata condizione, ogni licenza le fosse permessa, incurante dell’onore della famiglia, non tralasciò nulla di quanto più turpe possa compiere una donna, dando libero sfogo alla sua lussuria.»Augusto era talmente adirato e imbarazzato per l’indegno comportamento della figlia, da promulgare la Lex Julia de adulteriis coercendi, severissima con gli adulteri e con chi si macchiava di reati connessi alla sfera erotica per i quali erano previste sanzioni durissime quali confische di beni, esilio a vita e financo la morte. Ma lei, figlia ribelle, non se ne curava.
Gli abiti audaci e semitrasparenti, la disinvoltura dei modi ostentata, la compagnia chiassosa di amici poco raccomandabili, costituivano una vera e propria provocazione alla morigeratezza dei costumi voluta ed imposta da suo padre Ottaviano Augusto che stava sedimentando contro di lei una rabbia sorda e implacabile.
Quando Marco Vipsanio Agrippa morì improvvisamente a cinquantuno anni, Giulia si ritrovò di nuovo vedova a ventisette anni. Nonostante il dolore per la morte del marito, cui era legata da sincero affetto (seppure non gli avesse riservato fedeltà), era troppo esuberante e ancora troppo bramosa di piaceri, per rimanere sola a lungo.
Era ansiosa di rimaritarsi, ma il suo sorriso si spense subito quando suo padre le comunicò il nome del prescelto: Tiberio (il futuro Imperatore), il primogenito che la sua matrigna Livia aveva avuto dal precedente matrimonio. Mai scelta fu peggiore di quella.
Tiberio che era sposato con l’amatissima Vipsania Agrippina, fu costretto a divorziare e da quel momento coverà un risentimento scontroso e torvo verso il suo patrigno Augusto; Giulia, esuberante, impetuosa, trasgressiva, si ritrovò al fianco un uomo taciturno, ipocondriaco e bieco, che non l’amava e non la desiderava.
Dissapori, incomprensioni, liti e sordi rancori avvelenarono da subito quelle nozze che finirono presto: i loro cuori rimarranno per sempre lontani, così come i loro letti. Lei si abbandonerà con incontrollato e indecente trasporto a torbide e molteplici passioni, lui, disgustato, si ritirerà a Rodi.
Per Giulia sarà una sorta di catabasi, una discesa negli Inferi della turpitudine, cui pose fine lo stesso Augusto nel 2 a.C. quando la fece esiliare nell’isola di Pandataria (oggi Ventotene), nel mar Tirreno, due chilometri quadri d’isola battuta dai venti e arsa dal sole, dove tuttora a Punta Eolo si possono vedere i resti di quella che fu la sua dimora.
La madre Scribonia si offrì di condividere con lei la mala sorte e per Giulia iniziò il periodo più terribile della sua vita. Le restrizioni che suo padre Augusto le impose furono: solitudine, niente vino, nessuna raffinatezza e la proibizione a tutti gli uomini di avvicinarla.
Malgrado le suppliche del popolo e i tentativi di molte personalità influenti di farla tornare, Augusto sarà irremovibile e non le permetterà mai più di rientrare a Roma, neppure per partecipare alle esequie dei suoi due figlioletti che aveva avuto da Agrippa, Caio e Lucio, morti anche loro in circostanze misteriose (e ancora una volta la sinistra ombra di Livia si stagliò sul fondale della Storia).
Perché tanto accanimento da parte dell’Imperatore contro sua figlia? Forse al di là delle accuse di comportamento osceno e denigratorio, la vera ragione era da ricercarsi in un ambito politico: tra i numerosissimi amanti della donna, ve ne furono alcuni potenti e temibili che avrebbero potuto, all’occorrenza, coalizzarsi in una pericolosa fazione contro di lui.
La diffidenza di Augusto si appuntava soprattutto contro Iullo Antonio (figlio di Marco Antonio), avvenente, prestante e di gagliarda vigorìa innamorato perso e ampiamente ricambiato da Giulia; quando lei fu esiliata, lui, accusato di congiura, si uccise.
Tiberio, divenuto nel frattempo Imperatore, con bieco rancore, relegò sua moglie Giulia a Reggio Calabria in un’unica stanza, inasprendo così le severe misure restrittive impostele da suo padre Augusto, il quale, prima di morire, ancora roso da astio inestinguibile, aveva stabilito che lei non sarebbe potuta tornare a Roma neppure da morta: mai, tuonò, la sua salma sarebbe stata tumulata nel grandioso Mausoleo che egli aveva fatto costruire per sé e per i componenti della sua famiglia, quella gens Iulio-Claudia che renderà Roma fulgida e gloriosa, ma che sarà sempre innervata di sangue e lussuria.
Ma Giulia Maggiore non farà in tempo a vedere tutto questo: morirà di malattia e di indigenza, bandita da Roma e vituperata da tutti, a cinquantatré anni nel 14 d.C., lo stesso anno di morte di suo padre l’Imperatore, senza riuscire ad ottenere il suo perdono.